Approfondimenti Contenuti originali

Articoli scientifici, parte II: l’articolo di ricerca

Introduzione

Continuiamo la nostra rassegna sui contributi scientifici prendendo in esame la prima – e certamente più importante – delle categorie madri: l’articolo. L’obiettivo è di individuare possibili costanti e discontinuità del genere scientifico presso editori accademici e in ambiente biblioteconomico, con riguardo anche ai protocolli della valutazione della qualità della ricerca in vigore presso gli atenei italiani. A tale scopo, partiremo dall’analisi dei requisiti dell’articolo scientifico riconosciuti da un campione circoscritto di editori e centri bibliotecari universitari, ampliando i risultati della riflessione ai due contrapposti ambiti disciplinari STM e HSS.

1 Requisiti in teoria

Noto in ambiente anglofono sotto varie diciture più o meno equivalenti (primary o original-research article, original article, original scholarship, research article, regular article, article, original o full-lenght manuscript, full paper), considerato altrimenti come the standard article (così da De Gruyter), l’articolo scientifico ha lo scopo principale di diffondere i risultati di una ricerca

  1. prioritaria nel tempo (i.e. che non sia stata oggetto di precedenti pubblicazioni) e
  2. geneticamente autonoma (i.e. non derivante da un’attività intellettuale secondaria e terziaria).

Tale è il requisito fondamentale perché un contributo possa fregiarsi dell’etichetta di articolo scientifico. Oltre a questo, ce ne sono altri generalmente circoscritti al genere, sia da editori accademici che dalle biblioteche universitarie. Un secondo requisito riconosciuto universalmente (così ad esempio presso Cambridge University Press) è la certificazione scientifica derivante da un processo di peer review, di cui sarebbe opportuno, in separata sede, analizzare tipologie e flussi (si segnala la mancanza ad oggi di uno studio che elenchi in prospettiva storicista le tipologie e i relativi flussi di referaggio: ci si limiti per ora alla rassegna di Elsevier oppure, in ambiente nostrano, alle considerazioni circoscritte di Guerrini 2021). Occorre senza dubbio enfatizzare questo secondo criterio, tanto importante da giustificare, nel gergo sia editoriale che biblioteconomico, l’uso dell’etichetta peer-reviewed o refereed article per indicare l’intera categoria dell’articolo scientifico (così, ad esempio, nelle guide delle University of Toronto Library, University of Massachusetts, Queen’s University e Columbia Southern University).

Gli strutturalisti aggiungerebbero un terzo requisito di natura formale, ossia la ripartizione della gabbia interna dell’articolo in una sequenza ricorrente di sottoparti (IMRAD). Dalla nostra rassegna risulta che, tra i grandi editori accademici, Springer sostenga questo pattern, accompagnato da Elsevier e Taylor & Francis, che ampliano la sequenza includendo anche abstract, keywords e conclusion. Come emergerà più avanti nel corso dell’approfondimento, tuttavia, questo terzo requisito strutturale non sembra essere del tutto determinante per definire univocamente l’articolo scientifico. Ciò è tanto più vero se si considera che le stesse riviste accademiche raccomandano spesso strutture più fluide, monche o addirittura dotate di parti non contemplate nell’acronimo IMRAD (si pensi, ad esempio, all’anatomia di uno scholarly article schematizzata dalle NCSU Libraries).

Altri attributi minori concorrono, infine, a identificare l’articolo soprattutto in ambiente editoriale: tra questi, la presenza di soli riferimenti bibliografici recenti (così in MDPI, che accenna alla recenziorità dei titoli citati senza tuttavia specificarne i termini).

2 Requisiti in pratica

Chiariti i requisiti che distinguono sulla carta l’articolo, occorre verificarne l’applicabilità ai vari contesti di impiego. Tre tendenze contrarie emergono a riguardo.

Da una parte, l’articolo è trattato come una categoria fissa e identica a sé stessa, senza varianti e dissomiglianze a seconda delle aree scientifiche. È il caso di Open Research Europe, piattaforma di pubblicazione gratuita e ad accesso aperto di contributi derivanti dalla ricerca finanziata da fondi comunitari europei. Consultandone le linee guida, ci si accorge che alcuna differenza viene stabilita tra articoli di area scientifico-tecnologiche e articoli di area umanistica o sociale (gli unici requisiti enfatizzati sono, per tutti e tre i campi, il ricorso al modello della post-publication peer review e la derivazione dell’opera da almeno un autore coinvolto in un progetto Horizon 2020 o Horizon Europe). La stessa tendenza è osservabile scorrendo alcune linee guida redatte da servizi bibliotecari d’ateneo internazionali, che tacciono sulle varie tipologie di articolo, privilegiando piuttosto una visione dicotomica della produzione accademica, suddivisa più semplicemente in primary research articles e review articles. I casi menzionabili sono diversi. Qui ci si limita a ricordare le linee guida della University of Toronto Library e dell’Université Polytechnique de Montréal: quest’ultima in particolare distingue tra article de recherche e article de synthèse, corrispettivi francesi del primary research article e del review article.

All’interno della categoria degli original articles, poca differenza sussiste talvolta tra ricerche originali e recensioni originali, al punto che l’ordinario confine tra il research article e il review article diventa alquanto sfumato (così per Learned Publishing – Wiley, rivista leader nel settore biblioteconomico e di scienze dell’informazione, in cui anche le reviews possono essere accolte e pubblicate come original articles).

Vari editori tra i più autorevoli enunciano differenze da articolo ad articolo secondo il contesto disciplinare. Da genere scientifico, l’articolo diventa così un macro-contenitore logico. In esso confluiscono varie tipologie di contributi derivanti da una ricerca di tipo primario e che mutano requisiti e sembianze a seconda del settore disciplinare. Prima di addentrarci nel dettaglio, notiamo che, rispetto alla molteplicità di etichette e formati menzionati nelle linee guida delle riviste scientifiche, una minore diversità emerge dai verbali o prospetti di ateneo per la valutazione della qualità della ricerca, per necessità di trasparenza e snellimento amministrativo – limitatamente al territorio italiano, si prenda ad esempio quelli delle Università di Trieste e di Milano del 2017, quest’ultimo estremamente dettagliato.

2.1 STM

L’ultima delle tre tendenze prese in esame distingue soprattutto l’area scientifico-tecnologica, e ancora più il settore medico: in questo, la categoria madre dell’articolo si declina in varie forme, accomunate tutte da una natura concisa e mirata del formato. Esse sono note perlopiù con la loro dicitura inglese. Di seguito, se ne dà un elenco redatto per ordine di frequenza/importanza della singola tipologia nel settore (entro parentesi se ne fornisce un’approssimativa traduzione in italiano; per ogni tipologia, si rimanda inoltre ad un esempio presso accreditate riviste scientifiche del settore):

  • Randomized controlled clinical trial, o RCT (“studio controllato randomizzato”) – articolo centrato sulle tecnologie e strumentazioni acquisite nella diagnosi; secondo Paci et al. 2009 si tratta della tipologia più diffusa (o, quantomeno, in via di sempre maggiore diffusione) in ambito fisioterapico, dopo gli observational/descriptive studies. Per ulteriori approfondimenti sul genere, si rimanda allo studio capitale di Bulpitt 1996 e al recente aggiornamento di Granholm et al. 2022.
  • Case report (“caso clinico”) – rapporto dettagliato sui segni, diagnosi e follow-up di un singolo caso clinico.
  • Technical note o report (“nota tecnica”) – articolo incentrato prevalentemente su tecniche e procedure medico-chirurgiche, e usato solitamente per anticipare o salutare il deposito di brevetti scientifici.
  • Before-and-after study, o pre-post study (“studio prima-e-dopo”) – basato su risultati ottenuti nel campo della terapeutica e/o della diagnostica, questo articolo presenta i risultati di una prassi prima e dopo aver introdotto nell’uso un prodotto o un metodo.
  • Cohort study (“studio di coorte”) – usato non solo in medicina, l’articolo consiste in un’analisi dei fattori di rischio su un campione di persone estranee a un determinato fenomeno o patologia. Ne sono varianti i case-control studies (“studio caso-controllo”) e i cross-sectional surveys (“cross section”).
  • Opinion paper o Position paper (“articolo di posizionamento”) – articolo nel quale vi si commenta la ricerca già pubblicata o si enuncia un posizionamento tecnico rispetto a quanto già ampiamente noto in una determinata branca clinica.

Il settore medico conosce dunque, come tipologie di articolo scientifico, studi clinici interventistici, studi osservazionali e di modellizzazione spesso associati o addirittura assimilati tra di loro (Mann 2003). Essi si basano sulla struttura convenzionale IMRAD (così, ad esempio, per il Yale Journal of Biology and Medecine, l’American Society of Hematology Journal e l’European Journal of Public Health dell’OUP). La ripartizione proposta, tuttavia, è evidentemente suscettibile di emendamenti, se ne consideriamo le varie applicazioni all’interno delle principali riviste leader del settore. Un caso macroscopico è rappresentato dalla metanalisi (meta-analysis), annoverata tradizionalmente, in riferimento alla evidence-based medicine, nella macrocategoria dell’articolo scientifico (così, ad esempio, dall’European Journal of Public Health o The Lancet), ma da alcuni riconosciuto come sottogenere del review article (così per Taylor & Francis).

Nella branca cugina della psicologia, afferente come l’economia anche all’area delle scienze sociali, piccole varianti sono riscontrabili:

  • gli studi clinici prendono il nome di empirical studies, contenenti risultati originali provenienti da rigorose ricerche empiriche con larghe implicazioni sulla teoria e/o la pratica terapeutica (solo in pochi casi isolati empirical studies è sinonimo di research articles: così, ad esempio, nelle linee guida della Texas A&M University e della University of California);
  • accanto agli empirical studies, troviamo la categoria dell’historical scholarship, che coincide con quella già incontrata dell’opinion paper. A titolo esemplificativo, si veda la rassegna dell’American Psychologist, rivista dell’American Psychological Association.

Urge infine precisare che, data il loro legame congenito con la pratica clinica, molte di queste tipologie di articolo scientifico non esistono che all’interno e in funzione del settore disciplinare medico e, più generalmente, socio-sanitario. Se si spaziasse al di fuori di esso, pur rimanendo nel perimetro delle STM, molte delle tipologie elencate scomparirebbero cedendo il passo ad altre. Tale è il caso per l’informatica e l’ingegneria del software.

A sostituzione della pratica clinica, l’impronta educativa e fortemente orientata all’industry caratterizza gli articoli scientifici d’ambito informatico-ingegneristico, riconosciuti da sempre come carenti nella pubblicazione dei research reports (Montesi, Lago 200). In tale settore, troviamo dunque

  • l’experience paper o experience report (contributo di ricerca empirica) – articolo dalla spiccata natura applicativa, tanto da includere al suo interno i lessons learned reports o industry experience report, ossia contributi reportistici di/su esperienze formative o prassi aziendali;
  • il tutorial article (articolo tutorial) – ne è un esempio l’IEE Software Guide;
  • la survey (indagine di terreno/mercato) – articolo molto simile al precedente ma rivolto ad un pubblico più ampio e orientato a ridurre il divario tra ricerca e applicazione;
  • l’how-to, o tool report paper (“Come usare”) – articolo incentrato sulla performance tecnica di un applicativo o di uno strumento di ricerca, di cui si dettagliano le condizioni di usabilità tecnica.

Valutando la frequenza di questi articoli in un campione circoscritto di riviste, si riscontrano evidenti discrepanze rispetto alla medicina: l’opinion paper, ad esempio, è trattato come genere a parte rispetto al research paper dall’autorevole rivista Engineering (Elsevier). Fatto ancora più eclatante, l’eterogeneità del settore medico scompare talvolta a favore della sola categoria del research paper: Results in Engineering (Elsevier) contempla ad esempio solo tale tipologia di contributo, suddiviso in full-research paper o microarticle, quest’ultimo assimilabile al short paper, escludendo così a priori la letteratura secondaria.

Terminiamo qui l’indagine relativa alle tipologie di articolo scientifico nel settore STM, escludendo per ragioni di opportunità alcune discipline rappresentative (matematica, fisica, biologia) che non presentano importanti tratti di autonomia e originalità rispetto agli ambiti medico e ingegneristico (in caso di rettifica, seguirà un erratum a parte in un prossimo approfondimento).

2.2 HSS

La casistica di articoli in ambito scientifico-tecnologico è, come è evidente, estremamente variegata – tanto variegata da non essere talvolta coperta neanche dai principali editori. Una simile ricchezza non interessa, d’altro canto, le scienze umane e sociali, prive di quel taglio pragmatico e sperimentale che caratterizza gli studi scientifico-tecnologici. Partiamo dalle discipline che misurano il passaggio dalle cosiddette STM alle HSS.

A metà strada tra i due poli, le scienze economiche conoscono, oltre ad alcun tipologie già evocate, il genere dei replication studies, saggi posti al confine col genere della review che affrontano la validità interna e/o esterna di un articolo precedentemente pubblicato (se ne veda la definizione data dal Journal of Economics and Education Review – Elsevier): secondo uno studio del 2019, essi costituirebbero una fetta importante dei contributi scientifici apparsi nelle prime cinquanta riviste di economia (Mueller-Langer et al. 2019).

Ancor più dell’economia, gli studi giuridici presentano un’eterogeneità di contributi sintomatica della pluralità di fonti autoritative tipiche del settore. Prendiamo ad esempio una delle principali riviste giuridiche inglesi, Trusts and Trustees, edita da OUP. Generici articles vi si distinguono dagli In Depth, caratterizzati dalla presenza di una discussione più approfondita su uno specifico argomento anticipatamente commissionato dal comitato editoriale della rivista. Le altre due tipologie, Case Notes e In Focus, rientrano invece nella letteratura secondaria, basandosi esse su contributi o sentenze già apparse: la prima in particolare coincide con le nostre “note a sentenza”. Non tutte le riviste accademiche inglesi del settore presentano tuttavia una ripartizione simile a quella oxoniense: il Cambridge Lay Journal, edito da CUP, accoglie al suo interno non solo articles e short articles, ma anche case notes (assimilabili alle note a sentenza) e book reviews (appartenenti alla letteratura secondaria). La divisione anglosassone è quella più seguita in Italia (si considerano di seguito alcuni casi esemplificativi):

  • in Giustiziacivile.com (Giuffrè Editore), gli articoli sono seguiti da note e approfondimenti (letteratura secondaria);
  • una simile tripartizione si trova nella Rivista di diritto societario (articoli, saggi di dottrina, note a sentenza), con la sola differenza che i primi due generi rientrano entrambi nella letteratura scientifica primaria;
  • nella Rivista di Diritto Tributario Internazionale, dell’Università La Sapienza, l’articolo scientifico coincide con il saggio accolto nella prima rubrica della rivista (‘Dottrina’), seguito da note di approfondimento a corredo di sentenze documenti istituzionali (‘Documenti commentati’) e da recensioni e resoconti (‘Appunti e Rassegne’): solo l’articolo appartiene evidentemente alla letteratura primaria;
  • terminando con un caso peculiare nel panorama italiano, la rivista Trusts e attività fiduciarie, fedele al modello anglosassone e in particolar modo oxoniense, accoglie cinque tipologie di contributi, tante quante sono le rubriche al suo interno: delle cinque, solo due rientrano a pieno diritto nella letteratura primaria, ossia le Riflessioni – saggi di livello accademico – e le Discussioni – opinioni sugli orientamenti attuali del diritto.

Passiamo ora alle Humanities, nel cui perimetro è facile constatare l’assenza di quell’eterogeneità tipica dell’ambito STM: l’articolo scientifico conosce raramente declinazioni peculiari, a dimostrazione della secolare predilezione delle discipline umanistiche per volumi e monografie (si veda un precedente approfondimento pubblicato su Academic Publishing Services a riguardo). È tuttavia possibile cogliere qualche rara eccezione. L’archeologia è la branca, insieme all’epigrafia, che presenta una maggiore versatilità di tipologie di articolo – non a caso, sono tra quelle che fanno maggior uso di dati e studi quantitativi. Accanto a tradizionali research articles (così in Advances in Archaeological Practice – CUP o per Antiquity – Durham University), possiamo così trovare short papers (Journal of Archaeological Science – Elsevier), distinti dai precedenti solo per la succinta forma espositiva, e cronache di attività scientifiche, che rientrano tuttavia più nella letteratura secondaria che primaria (Kernos – Université de Liège). Anche sulla base dei protocolli impiegati per la valutazione della produzione scientifica, le altre discipline affini dell’area (letteratura, storia, filosofia) non presentano tratti di particolare eccentricità: tutte sembrano conoscere e accettare l’articolo scientifico, senza ulteriori precisazioni, come unità madre di pubblicazione.

Conclusione

Rielaborando la lista dei Scholarly Literature Types redatta dalla Cornell University, la University of Massachussets Library elenca le caratteristiche che ogni articolo scientifico dovrebbe avere. Ne ricordiamo le seguenti, disposte secondo l’ordine originario:

[1] formal appearence che coniughi testo a elementi para-testuali (tabelle, grafici, diagrammi);

[2] citazione delle fonti sotto forma di note e bibliografie;

[3] presenza di un abstract ad apertura di contributo, con la possibile aggiunta di un paragrafo incentrato sulla metodologia adottata;

[4] derivazione dell’opera da una voce autorevole nel campo;

[5] ricorso ad un gergo settoriale chiaramente identificabile;

[6] presenza di risultati derivanti da una ricerca originale, da una sperimentazione o da un’analisi approfondita;

[7] orientamento accademico del contributo, espressamente pensato e rivolto a professori, ricercatori e studenti del settore;

[8] certificazione scientifica emanata a seguito di un processo di valutazione tra pari;

[9] pressoché totale assenza di materiale e/o inserti pubblicitari.

Pur contemplando tutti i possibili requisiti che un articolo scientifico dovrebbe avere, la rassegna della University of Massachussets eccede in minuzia teorica senza considerare le prassi realmente vigenti presso i singoli editori accademici, in riferimento agli specifici settori scientifico-disciplinari. Ad un’analisi comparata di quanto raccomandato da editori accademici e attestato nelle riviste accademiche, in effetti, risulta che non tutti questi requisiti concorrano a fare di un contributo un articolo scientifico: tra i nove sopramenzionati, solo tre ci risultano, a conclusione della nostra indagine, decisivi, ossia l’originalità della ricerca presentata [6], l’indirizzo accademico [7] e la certificazione scientifica [8]. Tale constatazione ha posto le basi di un’argomentazione che, nel corso dell’approfondimento, ha portato a chiarire i requisiti – in pratica e in teoria – dell’articolo scientifico secondo a. editori accademici, b. riviste scientifiche e c. centri bibliotecari universitari. Specificare gli attributi che discriminano l’articolo scientifico da ciò che lo sembra ma non lo è ha permesso, in un secondo momento, di cogliere la complessità del genere in tutte le sue forme, a seconda del contesto scientifico e disciplinare di interesse: in tal senso, uno squilibrio evidente sussiste tra il settore STM e il settore HSS. Al netto delle formulazioni e dei nuovi elementi di riflessione qui raccolti, siamo dunque in grado di aggiornare il panorama della letteratura scientifica presentato nel primo approfondimento.

Si dettaglieranno nel prossimo approfondimento le caratteristiche del review article, seconda categoria madre dei contributi scientifici, illustrandone le specificità anche rispetto alle aree disciplinari e sulla base degli stessi criteri di indagine qui adottati.

Approfondimenti e bibliografia:

Bulpitt 1996 = Bulpitt C. J. Randomised Controlled Clinical Trials. Kluwer Academic Publishers, 1996 (2nd edition). https://doi.org/10.1007/978-1-4615-6347-1.

Granholm et al. 2022 = Granholm A., Alhazzani W., Derde L.P.G. et al. Randomised clinical trials in critical care: past, present and future. Intensive Care Med 48: 164–178. https://doi.org/10.1007/s00134-021-06587-9

Guerrini 2021 = Guerrini M. Sua Maestà il revisore: alcune considerazioni sul processo di peer review all’interno della LIS. AIB Studi 61/3: 585-592. 

Mann 2003 = Mann C. J. Observational research methods. Research design II: cohort, cross sectional, and case-control studies. Emergency Medicine Journal20: 54-60.

Montesi, Lago 2008 = Montesi M., Lago P. Software engineering article types: An analysis of the literature. Journal of Systems and Software 81/10 (2008): 1694-1714.

Mueller-Langer et al. 2019 = Mueller-Langer F., Fecher B., Harhoff D., Wagner G.G., Replication studies in economics—How many and which papers are chosen for replication, and why? Research Policy 48/1 (2019): 62-83.

Paci et al. 2009 = Paci M., Cigna C., Baccini M., Rinaldi L.A. Types of article published in physiotherapy journals: a quantitative analysis. Physiother Res Int. 2009 Dec 14/4: 203-12.

Articolo precedente

Autore

Eleonora Colangelo

Dottoressa di ricerca in Scienze dell’Antichità e Archeologia presso l’Université de Paris e l’Università di Pisa, lavora attualmente nel dipartimento di Public Affairs di Frontiers, sviluppando strategie interne in linea con le normative e tendenze più recenti nell’ambito della scienza aperta. In qualità di analista di politiche scientifiche, monitora e interpreta le politiche globali per rafforzare il ruolo di Frontiers come leader nell’editoria open access. In passato, ha lavorato presso Progettinrete, coordinando progetti di accesso aperto per case editrici universitarie, dipartimenti e centri di ricerca in Italia.