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Articoli scientifici, parte III: l’articolo rassegna

Introduzione

Oggetto di questa terzo approfondimento è la seconda categoria dei contributi scientifici, l’articolo rassegna o article review. Seguirò qui lo stesso metodo proposto nel precedente approfondimento, cercando cioè di reperire tratti in comune e propri del genere scientifico presso editori accademici e in biblioteconomia, con riguardo anche alle prassi vigenti negli atenei italiani in tema di VQR. Il punto di partenza saranno i requisiti dell’articolo rassegna riconosciuti dagli stessi editori e centri bibliotecari universitari menzionati nel precedente contributo. Gli stessi requisiti saranno dunque calati nei contrapposti ambiti disciplinari STM e HSS.

1. Requisiti in teoria

Noto in ambiente anglofono sotto la dicitura più o meno univoca di review article, tra le categorie di contributi scientifici più produttive e metricamente popolari in rete, e per questo vital companion dell’articolo scientifico secondo Cambridge University Press, l’articolo rassegna ha lo scopo di

  1. fornire un riepilogo della ricerca condotta su un determinato argomento,
  2. indicare una o più prospettive sullo stato della letteratura.

Rispetto all’articolo scientifico, la review rientra appieno nella categoria della letteratura scientifica secondaria tipizzata da Elsevier, basandosi essa su un’attività intellettuale di secondo livello, dipendente da una ricerca sperimentale, prioritaria nel tempo e originale. Ciò vuol dire che, per essere definito tale, l’articolo rassegna non deve contenere, discutere o diffondere dati o risultati di ricerca inediti: si tratta di aspetto determinante, che conviene qui enfatizzare insieme ad altri editori e guide biblioteconomiche (ad esempio, quella della University of Toronto Library). L’argomentazione della review sarà al contrario diretta al confronto, all’identificazione di lacune o fragilità di ricerche recenti e all’indicazione in ottica migliorativa di ulteriori prospettive e piste di ricerca. In virtù di ciò, i review article rientrano spesso tra le letture preliminari essenziali allo studioso per posizionare e contestualizzare metodi e risultati originali della propria ricerca nell’ambito di un research article.

Oltre a tale requisito di natura sostanziale, ce ne sono altri formali circoscritti al genere presso editori accademici e biblioteche universitarie. In quanto tali, essi marcano ulteriormente il punto di discrimine rispetto all’articolo scientifico. Possiamo identificarne due principali:

1) Certificazione scientifica. Un dato riconosciuto più o meno ovunque è il non vincolo al processo di peer review. Come infatti segnalato da Springer, la rassegna è il più delle volte firmata da specialisti del settore, interpellati su invito dagli editori di riviste (anche se eccezioni sono contemplate e gestite tramite pre-submission enquiry letter da parte del potenziale autore). Come diretta conseguenza di ciò, l’accettazione e gestone di review articles non è soggetta a policy editoriali (così presso la Cambridge University Press, per la quale la book review non è coperta dai Read and Publish Agreements).

2) Struttura logica. Presso i maggiori editori, il review article non presenta al proprio interno la struttura IMRAD (Introduction, Methods, Results, and Discussion) propria degli articoli scientifici. Una voce fuori dal coloro è MDPI, che raccomanda, al contrario, proposte di review articles organizzate in abstract, parole chiave, introduzione, sezioni pertinenti, discussione, conclusione e indicazioni/prospettive degli studi.

Pur con le dovute eccezioni, soprattutto nell’ambito STM, questi due requisiti conferiscono unità e compattezza al genere del review article nelle sue varie declinazioni d’uso.

2. Tipologie: review, book review, systematic review, meta-analysis

Come il research article, anche il review article conosce varie declinazioni a seconda delle riviste e, soprattutto, della categoria di ricerca primaria sottoposta a discussione. Tra i grandi editori, c’è chi, come Cambridge University Press e De Gruyter, considera il review article o review paper come un’unica categoria, compatta e priva al suo interno di ulteriori sotto-classificazioni. Altri, come MDPI, propongono una tripartizione in

1) review o rassegna generica;

2) book review, rassegna o recensione monografica;

3) systematic review, o revisione sistematica.

Per la prima categoria non si danno dettagli diversi da quelli già evocati sopra; per le altre due, delle precisazioni vengono fornite sulla base a) del prodotto scientifico recensito, b) del requisito di esattezza e sistematicità della rassegna stessa:

– per la book review, intesa come una rassegna/recensione critica focalizzata su contenuti, stile e peso specifico di una recente monografia, si raccomanda una struttura scarna nell’introduzione e nel corpo argomentativo, e brevità del formato. Secondo Taylor and Francis, si tratta di una tipologia di contributo con cui il giovane studioso può muovere i primi passi nel mondo accademico;

– per la systematic review si torna alla griglia più ricca e all’ampiezza di formato della review generica, con la sola aggiunta di una sezione metodologica.

Un dettaglio importante differenzia infatti la systematic review dalla semplice review e si lega alla presunzione di sistematicità della rassegna stessa: per rassegna/recensione sistematica si intende, infatti, un’indagine dettagliata di ricerche già condotte su un determinato campo di studi per il quale esistono parametri e metodi esatti e chiari di valutazione. Come segnalato da Edna Rother, sono infatti soprattutto le fasi di data collection, data analysis e reporting che connotano la systematic review distinguendola dalla narrative review. Si intuisce da ciò che il settore STM sia quello maggiormente aperto all’uso del sottogenere. Ma quando per l’esattezza una rassegna può definirsi sistematica? Quando essa è redatta secondo la checklist PRISMA e corredata da un diagramma di flusso esaustivo annesso al testo. In tale ottica, compito degli autori è depositare i loro protocolli di recensione presso registri pubblici di conservazione e archiviazione dati, quali PROSPERO. Una dichiarazione di conformità ai criteri PRISMA e informazioni relative all’avvenuto deposito del protocollo sono infine da fornirsi nell’apposita sezione metodologica della review.

Ora, come già accennato, la ripartizione MDPI è isolata rispetto ad altre circolanti presso gli editori. Singolare è quanto proposto, ad esempio, da Taylor and Francis, che esclude la book review dalla categoria del review article, proponendo piuttosto una suddivisione in

1) literature review o sintesi narrativa: ossia, rassegna delle conoscenze, dei risultati e dei contributi teorici e metodologici prodotti su un dato campo di indagine (per approfondimenti, si legga la guida dell’Università di Edinburgo);

2) systematic review o revisione sistematica: ossia, rassegna il cui scopo precipuo è identificare, valutare e riunire le prove empiriche che soddisfano prestabiliti criteri di ammissibilità scientifica per un certo argomento di indagine;

3) meta-analysis o meta-analisi: ossia, un disegno di studio quantitativo utilizzato per valutare in modo combinato i risultati di una o più ricerche condotte in precedenza. Diffusa soprattutto nel settore medico, la meta-analisi è considerata da Gurevitch et al. 2018 come la migliore rappresentazione della science of research synthesis e si basa il più delle volte sui cosiddetti randomized controlled clinical trials, categoria di articoli scientifici già menzionata nel precedente contributo.

Una ripartizione simile delle review vige non solo in editoria, ma anche in biblioteconomia. La guida della University of Massachussets Library distingue, ad esempio, il review article dalla systemic review e dalla meta-analysis: dalla seconda, il review article si distinguerebbe per il taglio più snello e l’approccio meno fiscale rispetto all’esattezza della ricerca e dei risultati recensiti; dalla terza, il review article si differenzia per la sua impostazione monografica e meno orizzontale (la meta-analisi, infatti, combina o mette a confronto dati attinti da ricerche indipendenti per fornire una prospettiva corale su uno specifico argomento).

Prima di addentrarci nel dettaglio dei vari contesti di impiego e applicazione del review article, concludiamo la parentesi delle tipologie integrando quanto descritto nei verbali o prospetti di ateneo italiani per la valutazione della ricerca: in questi, il review article compare come singolo prodotto valutabile dopo l’articolo in rivista e la nota a sentenza, non soggetto a particolari categorizzazioni interne (così in particolare nel prospetto dell’Università di Trieste) e non comprendente schede, informazioni bibliografiche e brevi recensioni di singoli volumi. Una differenziazione è in tal senso operata dall’Università di Milano, che distingue la recensione  dal review essay, quest’ultimo essendopiuttosto un “articolo scientifico di rassegna critica della letteratura su un determinato tema che fa anche il punto sullo stato dell’arte della ricerca sul tema stesso (da Anvur bando 30 Luglio 2015)”.

3. Contesti di impiego: STM

Chiariti i requisiti dell’articolo rassegna, occorre verificarne l’applicabilità ai vari contesti di impiego.

La tripartizione MDPI vista poc’anzi connota in particolar modo l’area scientifico-tecnologica, specialmente il settore medico: questo paragrafo si concentrerà principalmente su di esso, escludendo le altre aree scientifiche per le quali non si registrano tendenze diverse da quelle già descritte.

Nella piattaforma Open Research Europe si presenta, per i settori delle scienze naturali, dell’ingegneria, delle scienze mediche e agrarie, un sistema binario composto da reviews e systematic reviews. Le prime, dirette a fornire una panoramica equilibrata e onnicomprensiva delle ultime scoperte in un dato ambito di studi, sono altrimenti definite sotto le diciture interscambiabili di review articles e book reviews dalle principali riviste mediche (per citarne alcuni, Yale Journal of Biology and Medecine, Biomedical and Pharmacology Journal, American Society of Hematology Journal, European Journal of Public Health). Tra queste, poche (come l’American Society of Hematalogy Journal) accredita il genere delle systematic reviews o meta-analyses attribuendogli lo statuto di regular article.

Discorso a parte dovrebbe essere fatto per la suddivisione proposta da The Lancet, che annovera reviews e reports all’interno della stessa categoria, includendovi ad esempio:

  • clinical pictures (ossia, showcase di casi o indagini cliniche sottoposte a peer review, accolti anche nell’American Journal of Hematology Pictures e da The Journal od Rheumatology);
  • commissions (ossia, approfondimenti peer-reviewed commissionati per l’appunto dagli editori a partner accademici con lo scopo di produrre raccomandazioni autorevoli per la comunità internazionale);
  • health policies, o linee guida descrittive rilevanti in ambito comunitario;
  • personal view o viewpoints (così chiamati anche dall’European Journal of Public Health della OUP), ossia brevi recensioni che assolvono alle medesime funzioni di un position paper.

Il dato curioso che emerge è il ricorso alla revisione paritaria esterna anche per i sottogeneri delle categoria reviews and reports: tendenza non isolata in ambito medico e che ritroviamo anche presso altre riviste (ad esempio, The Pharmaceutical Journals), che accettano solo contributi di letteratura scientifica secondaria distinti in peer reviewed e not peer-reviewed.

Un’ultima tipologia di review article sempre più in uso nel settore scientifico è quello della graduate student literature review, accolta ad esempio nell’Australian Veterinary Journal: si tratta di una rassegna critica a firma di ex studenti universitari che, a tre anni di distanza dalla loro dissertation, pubblicano uno stato dell’arte aggiornato in relazione agli argomenti affrontati nella tesi. Per la revisione tra pari, sono indicati dalla redazione i supervisori e revisori della tesi stessa, secondo una prassi poco ortodossa in editoria accademica.

4. Contesti di impiego: HSS

La casistica di articoli rassegna in ambito scientifico-tecnologico non è, come è evidente, tanto variegata quanto quella vista nel precedente approfondimento sugli articoli di ricerca: a fronte dell’eterogeneità di research articles, si constata una tendenziale bipartizione in reviews generiche e systematic reviews, con (al massimo) qualche eccezione alla regola. Come è deducibile dalla natura delle systematic reviews, lo schema si appiattisce ulteriormente nel settore delle scienze umane e sociali, prive di quel taglio pragmatico e sperimentale tipico delle STM: al suo interno, solo riviste di psicologia fanno salvo la bipartizione in reviews (o literature reviews) e meta-analyses, come nell’American Psychological Association Journal.

Per questa ragione, Open Research Europe fa menzione solo di reviews, senza distinzioni supplementari di sorta (lo stesso, si riscontra nelle principali riviste di economia e archeologia, maggiormente caratterizzate da un taglio ibrido rispetto a quelle di argomento letterario e storico: così, nel Journal of Archaeological Science di Elsevier, ad esempio, o in French Politics di Palgrave). Un caso nuovo ed emblematico è rappresentato in tal senso dalle digital reviews promosse da Advances in Archaeological Practice della CUP, ossia recensioni e rassegne critiche di applicazioni multimediali prodotte per incrementare l’engagement del pubblico nella fruizione dei beni culturali: si prestano ad analisi critica non tanto monografie e mostre quanto blog, podcats e app di realtà aumentate.

In ambito storico-letterario, l’articolo rassegna può talvolta conoscere un’estensibilità di uso, anche se i casi in cui ciò accade possono dirsi rari: ne è un esempio la ripartizione proposta dalla rivista francese di antichistica Revue des études anciennes, che distingue tra recensioni (recensions), letture critiche (lectures critiques), resoconti (comptes-rendus), note di lettura (notes de lecture) e liste delle opere in redazione (listes des ouvrages reçus).

Conclusioni

Ad un’analisi comparata di quanto raccomandato da editori accademici, risulta che pochi requisiti concorrano a fare di un contributo un review article: la non originalità della ricerca presentata, la non urgenza di certificazione scientifica ortodossa e l’assenza di una struttura interna rigida. L’analisi dei requisiti ha posto le basi di un’argomentazione che, nel corso dell’approfondimento, ha portato a chiarire i requisiti – in pratica e in teoria – del review article secondo a. editori accademici, b. riviste scientifiche e c. fonti secondarie (protocolli e guide biblioteconomiche). Specificare gli attributi ha permesso, in un secondo momento, di cogliere la relativa complessità del genere nelle sue forme succedanee, a seconda del contesto scientifico e disciplinare di interesse: in tal senso, non sembra emergere uno squilibrio evidente tra il settore STM e il settore HSS, al contrario di quanto avvenuto nel corso del secondo approfondimento sugli articoli di ricerca.

Autore

Eleonora Colangelo

Dottoressa di ricerca in Scienze dell'antichità e archeologia dell'Université de Paris e l'Università di Pisa, è coordinatrice di progetto in digital humanities ed editoria accademica presso Progettinrete, Firenze, in cui si occupa di diffusione e promozione della ricerca scientifica.