La guerra della “impact metric” fra trasparenza e monopoli
Risale agli inizi di dicembre 2016, l’annuncio sul sito di Elsevier del lancio del nuovo CiteScore, un set di metriche per la misurazione dell’impatto delle riviste accademiche. Il breve editoriale, a firma di Hans Zijlstra e Rachel McCullough, due manager di Elsevier, ne sottolinea la natura globale, più trasparente e aggiornata in modo più frequente, e pertanto più attuale.
Riuscendo a valutare l’impatto di 22.220 Riviste e comprendendo nel calcolo note, lettere, editoriali, atti di conferenze e altri documenti indicizzati da Scopus (il database di proprietà di Elsevier), CiteScore utilizza una finestra di tre anni per valutare la media delle citazioni di un titolo, a differenza dello standard dell’indice sintetico Impact Factor basato sul database Web of Sciences (WoS), sino a pochi mesi fa di proprietà di uno dei maggiori concorrenti di Elsevier, Thomson Reuters. Quest’ultimo sistema di valutazione dell’impatto, infatti, usava una finestra temporale di due o cinque anni, a seconda dei casi: ambedue valutati da Elsevier inadeguati per difetto o per eccesso. Se si considera che Impact Factor ex-Thomson Reuters calcola l’impatto accademico su circa 11.000 titoli (maggiore selettività nel non dimostrato presupposto che la letteratura scientifica di maggior rilievo si concentri in poche riviste), non includendo le note, le lettere ed altri documenti di cui CiteScore tiene conto, si potrebbe supporre che si tratti di uno strumento, se non migliore, certo assai potente e versatile (almeno così potrebbe apparire a prima vista). In particolare, sebbene CiteScore sia calcolato su base annua, essendo l’impatto accademico-scientifico estremamente variabile e mutevole, ogni mese è soggetto ad aggiornamento e questo ne fa una novità interessante, se paragonata all’Impact Faftor aggiornato annualmente (nel mese di giugno).
È interessante notare come l’articolo apparso sul sito di Elsevier ed in generale il medesimo marketing della company editorial-accademica sottolineino l’aspetto trasparente del calcolo dell’impatto di una Rivista: assenza di algoritmi segreti, non occultazione di dettagli, etc. Eppure, sebbene sia stato ampiamente sottolineato come CiteScore sia unbiased (privo di bias, ovvero di distorsioni e di tendenze interpretative), non sono sorte poche polemiche. Come riportano più siti che si occupano di editoria accademica, includere all’interno del totale dei documenti materiali non di ricerca (lettere, editoriali, notizie etc.) conduce, se non alla deminutio del valore di un titolo, sicuramente a una reale distorsione del suo impatto, dal momento che al denominatore vi sono documenti fra i più disparati e dalla non paragonabile scientificità (così ha osservato non senza acume Richard von Noorden in una news pubblicata sul sito di «Nature»).
Altro problema, a proposito della dichiarata trasparenza, è il fatto che CiteScore sia free ma con l’onere dell’accesso a Scopus, sempre, come detto, di proprietà di Elsevier. Sorge il quesito, di non facile risposta, su quanto sia labile il confine fra reale intenzione di condotta di ricerca scientifica (e della conseguente disseminazione dei risultati di questa) e il più spregiudicato marketing nell’ottica di una strategia d’impresa spietata e ambiziosa. Senza peraltro considerare come le critiche piovute su Elsevier, come quella di Von Boorden su Nature, non siano del tutto disinteressate: la celebre rivista di scienze naturali su cui è apparsa la news di cui sopra fino a poco tempo fa era parte della galassia Thomson Reuters, comunque ancora strettamente legata all’Impact Factor.
In definitiva, se la scienza deve essere estranea ad ogni forma di condizionamenti e finalizzata alla ricerca e alla scoperta, d’altra parte non sempre essa si coniuga alla perfezione con l’attività economica e politica che per definizione è basata sull’interesse.
Per approfondire:
il comunicato ufficiale di lancio sul sito web di Elsevier